N. 6 | Hai l’attestato sull'AI? Complimenti. Ora buttalo e ricominciamo da capo.
La formazione sull’intelligenza artificiale non può diventare l’ennesimo corso obbligatorio da skippare. Stavolta si tratta di capire, scegliere, cambiare davvero — prima che sia troppo tardi.
Avete presente quei corsi obbligatori sulla sicurezza sul lavoro? Quelli che iniziano con un video polveroso di dieci anni fa, infilano una raffica di quiz a risposta multipla (dove puoi skippare senza nemmeno vedere il contenuto) e si concludono con un attestato che finirà in fondo a una cartella che non aprirete mai più. Ora, immaginate lo stesso destino per la formazione sull’intelligenza artificiale.
Sì, proprio lei: la tecnologia che promette di rivoluzionare tutto — dal modo in cui scriviamo email al modo in cui pensiamo. E noi cosa facciamo? Guardiamo un webinar registrato, teniamo il volume al minimo e rispondiamo a messaggi su Teams sull’altro monitor. Poi clicchiamo su “completato” e ci sentiamo pronti per il futuro.
La AI literacy, cioè la capacità di comprendere come funziona l’intelligenza artificiale, valutarne le informazioni e usarla in modo critico e responsabile, sta diventando un nuovo obbligo professionale. Tutti ne parlano, tutti ne hanno bisogno, e ormai tutti si sentono dire: "devi fare un corso sull’AI". Ma se la risposta delle aziende e delle istituzioni sarà creare l’ennesimo percorso formativo da fare con la testa altrove, avremo solo generato una nuova incomprensione di massa. Anziché formare cittadini e lavoratori consapevoli, rischiamo di costruire utenti passivi, convinti che basti sapere dove cliccare in ChatGPT per essere pronti al futuro.E tu? Quante volte hai davvero imparato qualcosa da un corso obbligatorio?
Questo numero viene da una domanda che è serpeggiava in un seminario che ho tenuto qualche settimana fa.
Possiamo davvero prepararci al futuro solo guardando un video in sottofondo mentre rispondiamo su Teams?
Formarsi sull'AI è facilissimo (e spesso inutile)
Oggi è pieno di corsi online sull’intelligenza artificiale. Alcuni durano due ore, altri promettono di farti diventare un “esperto di prompt” in un weekend. Molti sono gratuiti, quasi tutti sono ripetitivi.
👨🏫 Corso 1: "AI per principianti"
Slide colorate, esempi generici, e alla fine un badge LinkedIn. Tutti contenti, nessuno ha capito la differenza tra GPT e un motore di ricerca.
🎥 Corso 2: "Webinar aziendale"
Registrato mesi fa, si apre con “ciao a tutti” e si chiude con “ricordatevi di fare il test finale per ricevere l’attestato”. In mezzo? Mezzo sonno.
🧠 Corso 3: "Masterclass acchiappa-like"
Linguaggio da guru, promesse esagerate: “Come usare l’AI per fare in 1 ora quello che prima richiedeva una settimana”. Spoiler: non è vero, o almeno non sempre.
Non è un problema di contenuti. È un problema di coinvolgimento.
Le aziende oggi non stanno fallendo perché non hanno accesso alla conoscenza. Falliscono perché non coinvolgono le persone nel percorso di comprensione e trasformazione che l’intelligenza artificiale impone.
Un corso da 3 ore su “come usare ChatGPT” non basta.
Un PDF con 10 policy non basta.
Serve un percorso che generi domande, errori, confronti, scelte.
Formare sull’AI non significa insegnare a usare un tool. Significa insegnare a pensare.
Formare vuol dire cambiare mentalità, non solo imparare un’interfaccia. Capire cosa delegare e cosa no. Leggere un rischio, scegliere una direzione. E soprattutto, costruire fiducia e responsabilità condivisa.
L’AI Act ci obbliga a formare. Ma l’AI Literacy ci invita a pensare.
Se l’obiettivo è solo “essere compliant”, rischiamo di fare corsi vuoti, scrivere policy che nessuno legge, appaltare tutto all’IT o al legale.
Se invece vogliamo diventare davvero “AI-ready”, dobbiamo ascoltare i team, dare strumenti per valutare e scegliere, allenare il giudizio umano.
Quello che serve oggi alle imprese non è una checklist. Sono micro-formazioni mirate per ruolo, legate a casi concreti. Esercizi di valutazione dell’output AI (non “come scrivere prompt”, ma “come giudicare un risultato”). Spazi protetti dove testare senza paura (sandbox, casi d’uso reali, errori che fanno riflettere). Una leadership che racconta il “perché”, non solo il “cosa”.
La vera AI Literacy non ti insegna solo a cliccare. Ti insegna a scegliere quando non cliccare affatto.
Strumenti che aiutano a formare (davvero)
Negli ultimi mesi ho provato tanti strumenti per creare corsi, micro-moduli, percorsi formativi. Alcuni ti fanno sentire un dio dell’e-learning, altri ti fanno maledire anche il mouse. Ma due mi hanno colpito davvero — e no, non perché fanno tutto da soli, ma perché aiutano chi vuole formare a farlo meglio.
Coursebox è uno di quei tool che ti illudono: “Basta scrivere il titolo del corso e facciamo tutto noi!” In realtà, funziona bene solo se tu sai dove vuoi andare. Lo uso quando voglio costruire percorsi a pillole, rapidi, ma con un filo logico chiaro. Soprattutto se devo formare persone diverse con bisogni diversi. Ma attenzione: serve una regia umana. L’AI non sa quali errori fanno i tuoi colleghi. Tu sì.
Qui il bello è la leggerezza. Pochi clic e hai un micro-corso pronto. Perfetto per spiegare un concetto, lanciare un test, stimolare una riflessione. Ma anche qui: se non c’è chi seleziona esempi, chi scrive le domande giuste, chi accompagna con senso critico… resta una bella scatola vuota. L’ho usato per formare su prompt engineering e bias cognitivi. Funziona, ma solo se dietro c’è un pensiero.
🎁 Bonus: la mia app per AI literacy (provala qui) Questa me la sono costruita da solo, usando Vibe Coding lo ammetto. È un mini-assessment per capire a che punto sei con la tua AI literacy, con consigli pratici personalizzati. L’ho pensata per chi vuole iniziare a ragionare sul proprio rapporto con l’AI senza dover leggere policy di 40 pagine. È semplice, diretta, e può diventare un ottimo punto di partenza per team e aziende. Ah e ovviamente l’ho creata grazie a lovable, il pazzesco tool text to code che sta rivoluzionando il modo in cui si fanno prototipi digitali (e non solo). Se non lo conosci fai un salto qui N. 3 | Junior senza codice, senior senza esperienza: l'AI sta distruggendo la programmazione?
🎯 Nessuno di questi strumenti però è la soluzione. Ma tutti possono essere parte del percorso — se li usi non per semplificare, ma per far riflettere.
🤔 La Critica alla Critica dell’AI: questa volta non possiamo permetterci di sbagliare
Quando arrivò internet, molte aziende lo sottovalutarono. “Una moda”, dicevano. O semplicemente lo ignorarono. E oggi? Quelle aziende non esistono più.
Con l’intelligenza artificiale il rischio è ancora più grande. Perché l’AI non solo cambia il modo in cui comunichiamo o lavoriamo. Cambia il modo in cui pensiamo. Con una differenza cruciale: ogni tre mesi cambia tutto. Nuove funzioni, nuovi strumenti, nuovi rischi. È un’evoluzione che non rallenta. Corre.
E allora la formazione non può essere un timbro burocratico. Non può essere l’ennesimo corso skippato. Serve uno sforzo reale, continuo, progettato. Serve che ogni persona — non solo gli esperti, non solo i tecnici — sappia cosa sta usando, perché lo sta usando, e con quali conseguenze.
Perché la vera sfida non è solo imparare a usare l’AI, ma restare lucidi mentre tutto cambia sotto i nostri occhi. È vivere dentro un cambiamento continuo — veloce, instabile, profondo — senza farsi ipnotizzare dalla facilità. Senza abdicare alla responsabilità. E soprattutto, senza spegnere il pensiero critico proprio adesso, che ci servirebbe come l’aria.
🧭 E ora?
Possiamo fare finta di aver fatto il nostro dovere — clic, attestato, archivio — oppure possiamo prenderci sul serio. Perché l’intelligenza artificiale non aspetta, e ogni settimana porta con sé nuove sfide, nuovi strumenti, nuove domande. Formarsi sull’AI oggi non è un compito da spuntare: è una responsabilità che richiede continuità, intelligenza (umana) e voglia di mettersi in discussione.
Scegliamo se essere spettatori o protagonisti di questa transizione. Non sarà l’ennesimo corso a farci la differenza. Sarà il modo in cui decidiamo di viverlo, criticarlo, ripensarlo. A partire da adesso.
Ci vediamo al prossimo numero — possibilmente, con qualche domanda in più e la testa ben accesa.